De Tempore et Occasione Scribendi

31/05/2014

sidereus
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I valori del “ Frontespizio’’ nel libro antico

Una macula filologica riferita dell’editoria antica era quella dell’ermetismo: segni, simboli, figure singole o raggruppate, dovevano secondare il mecenate che faceva stampare i libri di uno studioso prediletto o quanto meno in linea con un pensiero condiviso. Prendiamo il caso del “ Sidereus Nuncius ’’, 1610 di G. Galilei (Pisa 1564- Arcetri, Firenze1642): testo che ha letteralmente messo a soqquadro il modo di pensare sia la scienza sia l’epistemologia nonché la filosofia teoretica. Insomma: Galileo ha rifatto in un botto solo la storia del pensiero. D’accordo quasi in tutto col pensiero galileiano, appena messo in vita, non poteva mancare la risposta-reazione dell’irrequieto e “ nobile carcerato ’’ frate T. Campanella (1568-1639) rispondendo filo-teologicamente con la “ Apologia Pro Galileo ’’ stampata nel 1616 dopo d’essersi inebriato con la lettura del Nuncius, 1611, scrivendo al Galilei la penetrante lettera difensiva che noi abbiamo denominata “Lettera cosmologica’’. Perché, dunque, i frontespizi godevano di tanta importanza? Per la loro simbologia palese/occulta; messaggeri occulti pei lettori – in barba alla strapotenza della Inquisizione? Una semiologia criptica che lasciava libera l’interpretazione? Si potrebbe scrivere, con cautela, un trattato intitolato “La semiologia dei frontespizi’’ – da non confondere con la semeiotica medica altrimenti sconfiniamo in Ippocrate, Celso, Galeno, Avicenna, Fernelio e Rasius. Cose probabili ma non tutte poiché il frontespizio era soprattutto segno di distinzione che doveva soddisfare tre clausole: la politica-religione, la scienza e l’autore. Il “benevolo lettore’’, come peroravano per lo più gli stampatori – celeberrimi gli Elzeviri: Leida / Amsterdam poiché: “Molte delle maggiori opere della scienza e delle lettere del XVII secolo recavano l’epigrafe apud Ludovicum Elzevirium, e va detto che non sempre si trattava di inoffensive edizioni di classici: Elzevier non esitava certo di fronte a pubblicazioni controverse, tutt’altro! Nel 1638, la casa aveva stampato i Discorsi e dimostrazioni matematiche, intorno a due nuove scienze di Galileo...[ ... ]. Fortunatamente, la manus longa dell’Inquisizione non arrivava fino alle Province Unite, e la provincia d’Olanda, in particolare, era il luogo migliore per pubblicare un’opera che nel resto del continente non avrebbe mai visto la luce ”. ( cfr. S. Nadler, Il filosofo, il sacerdote e il pittore. Un ritratto di Descartes, Einaudi Editore Torino 2014, pag. 133). Infatti si legge “ IN LEIDA, APPRESSO GLI ELZEVIRII. M. D. C. XXXVIII. - , doveva sin dall’apertura del testo trovarsi a suo agio vedendo quali e quanti disegni o segni o fregi; coi capilettera arabescati e le greche per ogni capitolo.
Dunque ogni testo (dal 32° al “folio’’) conteneva quella “magica pagina’’ che si chiama Frontespizio (frontispicium) dove sono segnati nome dell’autore, titolo dell’opera, specifiche di ogni genere, il nome del dedicando ed in fine lo stampatore. Ed io comincio col Sidereus Nuncius galileiano: d’altra parte non si può far diversamente. Galileo compone un frontespizio con “… l’astuzia della ragione…’’, secondo la celeberrima sentenza di Hegel, descrivendo dettagliatamente il contenuto del testo stampato in corpi e caratteri diversi e con grassetti ripetuti. Insomma: si doveva leggere qualche cosa di straordinario e di fatto straordinario non solo è il testo e le illustrazioni, ma il frontespizio che Galileo creò adatto alla circostanza. Non è stata l’abilità del tipografo veneziano Tomaso Baglioni, bensì la mano del Galilei poiché dette prova di essere un abile disegnatore e acquerellista. Continuando nella disamina, sotto il Nuncupandos Decrevit c’è l’immancabile incisione con figure allegoriche che si possono vagamente ascrivere alla decorazione simbolica. Al centro la figura femminile dovrebbe rappresentare la sapienza o meglio la ragione che concilierebbe con il sottotitolo “Magna, Longeque Admirabilia’’. Di fatto, l’avvento è stato davvero mirabile, sicché dopo la qualifica accademica suona forte il tocco “ PERSPICILLI Nuper a se reperti beneficio…’’ per concludere con un doppio apologo “. Apprime verò in QUATUOR PLANETIS …..’’ e “ MEDICEA SIDERA NUNCUPANDOS DECREVIT ’’: la dedicazione e l’assegnazione del nome per l’appunto i Pianeti Medicei. La conclusione prevede la data e sotto la licenza di pubblicazione: Superiorum Permisso, & Privilegio. Confrontandolo coi frontespizi del De Revolutionibus di Copernico e lo Harmonices Mundi di Kepler questi ultimi si fanno timidi, timidi. Niente a che vedere con l’affannato Nuncius. Bisognava attendere il lunatico, e per pudore non cito l’appellativo reale datogli da R. Westfall, Newton in una edizione olandese, Amsterdam 1723, per ritrovare una grafica molto prossima a quella del Nuncius: PHILOSOPHIAE NATURALIS PRINCIPIA MATHEMATICA AUCTORE ISAACO NEWTONO EQUITE AURATO EDITIO ULTIMA. Dopo la specifica dei contenuti un abbastanza complicato stemma con una stadera in equilibrio sulla punta di un fascio romano con due piatti da bilancetta a catena e due putti simboleggianti: uno la debolezza di una sola verga che con le superstizioni si rompe facilmente ed un libro capovolto che indica che i libri senza esperienza non valgono nulla. Qui è raffigurata la famosa sentenza “ Hypotheses non fingo’’ (cfr. Scholio generale); diversamente dell’altro putto che trattenendo un fascio di verghe indica che con gli strumenti dell’esperienza si fa della vera scienza.
D’altro canto fra’ Thomae Campanellae ( Stilo/Stignano? 1568 - Parigi 1639) scrive al Galilei la famosa lettera del 13 gennaio 1611 sul Nuncius, ma nel corso del tempo, venuto a sapere che il testo galileiano
stava per esser condannato dal Santo Uffizio, preparava tempestivamente, nel 1616, la “ Apologia di Galileo ’’. Ma a causa di troppe controversie politico-teologiche, impedivano in Italia la pubblicazione apologetica. Soltanto nel 1622 grazie all’amico tedesco Tobias Adami (Werda 1581-Weimar 1643) riesce a pubblicare a Francoforte lo scritto in questione prefato dallo stesso Adami (che oltre al frate incontrò il fondatore della Accademia dei Lincei, principe Federico Cesi a Roma e Galileo a Firenze. Si iscrisse, infine, all’Università di Siena il 12 maggio del 1613). A differenza del frontespizio galileiano quello campanelliano (ripetuto per altre opere campanelliane sotto l’egida dell’Adami) ci pare meno complesso. Due grosse palme ( perché stando ad Erasmo da Rotterdam, “...la palma {Φοινιξ, palma da dattero}, infatti, non indica, di per sé, la vittoria, ma è un albero che conserva sempre verdi le sue fronde” [ E. da Rotterdam, Adagia, pace, saggezza, follia; Sellerio Editore, 2013, pag. 30]. Dunque l’albero scelto per, o da, Campnanella potrebbe sottintendere che il suo pensiero fosse “perenniter” ), costituiscono l’armatura della illustrazione. Dalla stessa radice si avvita, in ambedue le palme, un vitigno fogliato a pampini con alcuni grappoli penzoloni. A centro pagina in alto alcuni rami, che sembrano affilate lame, di palma intrecciano le loro punte; al di sopra un astro antropomorfo irraggiante come se ricordasse qualche cosa della Civitas Solis.
Sembrano disposte su una riva di fiume ma i tratteggi orizzontali sogliono creare una sorta di profondità che gioca sulla percezione piuttosto che su elementi geometrici. Racchiuso in un rettangolo col lato superiore convesso il testo del frontespizio recita: F. THOMAE CAMPANELLAE, CALABRI, ORDINIS PRAEDICATORUM, APOLOGIA PRO GALILEO, MATHEMATICO FLORENTINO. UBI DISQUISITUR, UTRUM RATIO PHILOSOPHANDI,QUAM GALILEUS celebrat, faveat sacri scripturis, an adversetur [fregio] FRANCOFURTI, Impensis GODEFRIDI TAMPACHII, Typis ERASMI KEMPFFERI. Anno M. DC. XXII. Al centro della figura geometrica, in basso, è incisa, “appesa’’ ad un stella, una campana (e non una campanina) col batacchio sporgente, che era il simbolo da cui derivava il diminutivo cognominale del filosofo. Tutto sommato un frontespizio meno elaborato di quello del ruvido pisano. Se Galileo sottilizza e precisa, Campanella, più irruente, mette in risalto l’elogio apologetico che dal fondo del carcere invia al suo presunto amico. E’ una favola che Galileo e Campanella fossero “amici’’. Basti constatare come il Galilei sia stato generoso nel rispondere alla lettera Cosmologica – rimase insensibile persino alle lettere dello 8 marzo 1614 e del 1 maggio 1632: cuor di pietra? Viltà? Silenzio “politico-teologico-cosmologico’’? Infatti il precipitoso calabrese, ad un certo punto punzecchia, con la bontà più grande che possa esistere nell’animo umano, l’astronomo suggerendogli alcune variazioni – dio ce ne guardi di dire “correzioni’’. Galileo che accetta correzioni? Da chi? Miracolosamente dal Kepler ma poi ci sono voluti alcuni secoli per ampliare Galileo: Newton ed in fine Einstein. Perciò evitando queste
puntualizzazioni si lasci continuamente Campanella nei suoi panni senza occuparsi di renderlo “attuale” nei nostri giorni confrontandolo soprattutto con la cosmologia. E per non tirare in ballo i soliti coetanei parliamo invece di “confratelli’’ religiosi ambedue cosmologi: Tommaso Campanella e monsignor George Lemaître (1894-1966) gran sacerdote. Niente confronti scientifici poiché traviseremmo le cose ma sta di fatto che ambedue scrutavano il cielo e non c’è scritto di Campanella, poesie comprese ed alcune assai belle, che almeno una volta non si parli del cielo, o dell’universo dacché come sosteneva Telesio “Io l’universo adempio’’: adempimenti che Campanella ha fatto suoi persino elaborandoli.
Peccato che il monaco non sia riuscito a riformare la Teologia poiché come dice in una lettera, 8 marzo 1614, al Galilei “…io fo la nova Teologia…’’ e c’è da crederci poiché dalle ariose utopie della Città del Sole per il resto Campanella, era capace di cose radicali come dimostrano le splendide Philosophia Realis, 1623, (ristampa 1637) e nel 1638, per i tipi di Dubray, la Philosophia Rationalis ’’. Anche le parole verso Galileo nella “ Metaphysica ’’ non sono proditorie. L’Apologia è anche commovente poiché subito si vedono le intenzioni. Infatti nel capitolo I dice Argumentum contra Galileum; nel capitolo II, si legge Argumenta pro Galileo e per dire la verità non mente né da una parte né dall’altra. E la lotta prosegue: teologia contra filosofia; anzi peggio: teologia contro la fisica e cosmologia. Ma negli argomenti favorevoli al Galilei c’è un passaggio rilevante che dice: “ Ergo si libri Copernici non incommodant fidei catholicae, nec Galileus incommodabit’’ (T. Campanella, Apologia di Galileo, Edizioni UTET, Torino 1969, pag. 9 del testo in facsimile). In 11 lemmi, si muove con coraggio da Papa Paolo III, ed al lemma 6 rassegna una approssimata centuria di precursori dello eliocentrismo siccome “ Praeterea hanc sententiam Galilei esse vetustissimam ’’ (ibidem pag. 10), impigliandosi in pericolose uncinate teoriche poiché insiste nel confondere teologia e scienza. Ma benché nella sua Metaphysica vi siano brevi ma precisi ricorsi matematici – lo stesso nella sua Mathematica scritta non per gli allievi, quali?, come si sparla, ma per cercare nuove vie geometriche adombrandone alcune che oggi chiamiamo con altro nome – sono tuttora insufficienti per la scienza. Dobbiamo, tuttavia, accentuare il fatto che al lemma 4, (ibidem pag. 9), cita il Cardinalis Cusanus: infatti il “ De ludo globi ’’ è molto prossimo ad una autentica cosmologia (ne abbiamo una scadente traduzione italiana: Il gioco della palla). S’aggiunga che il cardinal De Kues tentò di risolvere la “ quadratura del cerchio ’’ (cfr. N. Cusano, De matematica perfectione, Tomo III, Basilea 1565, p.1121) iniziata per la prima volta dal sofista greco Βρυσον (c. 450 a. C.): “ Brisone vi aggiunse l’idea di usare poligoni circoscritti’’ ( M. Kline, Storia del pensiero matematico, Dall’antichità al settecento’’, Einaudi Editore, Torino1991, Vol. I, pag. 52). E persino il Bruno “ Et quidam Nolanus…’’ ibidem (cfr. G. Bruno, Praelectiones geometricae, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1964, pp.21-23). Infatti la quadratura del cerchio è un bel sofisma: a meno che si dimostri con la geometria non commutativa di A. Connes: ma chi inventerà il nuovo calcolo matriciale? Ancora non lo sappiamo.
Se con la mostra precedente, Stilo 1994, abbiamo esposto i frontespizi delle opere di T. Campanella, e pochi altri documenti afferenti, a titolo informativo, in questa riesposizione degli stessi siamo andati oltre aggiungendo e giudicando cosa rappresentasse il Frontespizio soprattutto quello del Nuncius. Esso non è un fronzolo ornativo per sviare l’attenzione sugli intenti sottintesi, od intrighi, ma come esempio contenutistico per affrancare il pensiero dalle forche inquisitorie. Perciò l’accostamento più opportuno al Campanella ci è parso il Galileo nunziante.
Armando Brissoni